“Qui sono le coltivazioni luminose e appassionate del grano, della vigna aerea, della canapa, una distesa come un mare” ( G. Raimondi, Notizie dall’Emilia, Einaudi 1954)
La storia della Villa
Nel 1600, tutto attorno alla Villa L’Ariosto esisteva solo campagna a perdita d’occhio, tracce leggere di strade in terra battuta e in lontananza un nastro di alberi che ancora oggi come soldati di un picchetto d’onore guardano lo scorrere delle acque del fiume Idice, rendendolo individuabile in una pianura generosa.
Villa l’Ariosto, l’origine del nome – 1590
La ricerca dell’origine del nome attribuito alla villa risale alle prime notizie reperite, più precisamente, l’acquisto di “un prediolo, con casa, aia, pozzo, forno e stalla annessa” effettuato nel 1590 da Cassandra Gaddi, vedova di Ettore Ariosti.
Il prestigioso nome della famiglia Ariosti, proprietaria della tenuta di Villanova e Marano per soli 37 anni, divenne toponimo “dei luoghi dell’Ariosto” anche dopo la successiva vendita al ricco commerciante di legnami Marcantonio Pederzani avvenuta nel 1627.
Gli Ariosti erano una delle famiglie più antiche di Bologna, il cui nome deriva dalla località di Riosto vicino a Pianoro dove possedevano terreni e un castello. Tra i suoi esponenti vi si annoverano religiosi, politici, uomini d’arme, professori universitari e uomini di cultura. Corradino Ariosti, dell’Ordine dei Predicatori, promosse nel 1400 la costruzione della biblioteca di San Domenico e fu proclamato Beato per la sua intensa vita religiosa.
La famiglia nel sec. XIII si divise in due rami, Bonifazio diede origine al ramo di Ferrara dal quale nascerà nel 1474 il famoso letterato Lodovico, mentre il fratello Tommaso continuò il principale e ricco ramo di Bologna.
Villa Pederzani, da Casa Padronale a Palazzo di Villeggiatura – 1627
Dopo l’acquisto nel 1627, Marcantonio Pederzani trasformò la casa padronale in un vero e proprio palazzo di villeggiatura, come era in uso tra le famiglie nobili del sec. XVII: la tipica copertura delle case agricole del bolognese, a tre falde, fu trasformata in un tetto a padiglione a quattro falde, consentendo la realizzazione di un primo piano interamente abitabile e un sottotetto di servizio. Fu costruita un ala adiacente a est, contenente la casa del fattore e una rimessa. La torre piccionaia caratterizzava il prospetto dell’edificio.
La peste del 1630 probabilmente ritardò il completamento della trasformazione, ma già nel 1632 numerosi pittori affrescavano gli interni dell’edificio, conferendogli la connotazione di palazzo signorile.
Villa Orsi e la costruzione del teatro nell’ala ovest – 1694
Successivamente, la villa venne abitata dal marchese Giovanni Giuseppe Felice Orsi, divenutone proprietario nel 1694 dopo averla condotta in locazione per alcuni anni. Si deve a lui la costruzione dell’ala ovest della villa, simmetrica alla preesistente ala est, in cui si trovava un piccolo ma razionale teatro e una piccola cappella privata. Questa ala è crollata durante uno dei bombardamenti avvenuti nell’aprile del 1944 e non più ricostruita.
Gli ospiti della villa si dilettavano in rappresentazioni teatrali che animavano la villeggiatura estiva. Il marchese Orsi era un personaggio di grande rilievo della società bolognese del tempo, era uomo colto, raffinato e curava lo studio della letteratura. La passione per il teatro lo portò a recitare con dame e cavalieri all’interno delle case private bolognesi, all’epoca frequentemente dotate di un teatro, e istituì un’Accademia in casa propria dove due volte alla settimana avvenivano erudite discussioni di Poetica e Eloquenza che terminavano con una sontuosa cena. Il marchese Orsi morì nel 1734 all’età di 82 anni; in tutta la penisola italiana fu riconosciuto il suo valore quale uomo di ingegno e di cultura e gli fecero omaggio il papa Clemente XI, il duca di Parma, altri principi e cardinali e quasi tutte le Accademie d’Italia. La chiara fama, che lo aveva accompagnato nel suo tempo, non è stata immortale perché, oggi, è una figura di cui, purtroppo, si è persa la memoria.
Palazzo Conti ossia la trasformazione della torre piccionaia in specola o belvedere – 1740
Nel 1718 L’Ariosto venne acquistato da Matteo Conti, una ricca famiglia borghese con innumerevoli proprietà in città e, da allora, la villa venne individuata nelle mappe come Palazzo Conti. A lui si deve la trasformazione, eseguita nel 1740, della torre piccionaia in specola o, più semplicemente, in belvedere. Nella villa sono conservati alcuni progetti di questo intervento, peraltro diversi da quanto effettivamente realizzato. La specola è connotata da un’elegante e ampia finestra serliana, per mantenere una maggiore congruità con lo stile della villa e la sua destinazione di abitazione estiva.
Villa Silvani, la realizzazione del salone – 1820
Nel 1820 la villa fu acquistata dall’avv. Antonio Silvani, un illustre giureconsulto, professore universitario, patriota e statista. Partecipò ai moti risorgimentali del 1831 e rivestì l’incarico di Ministro della Giustizia nel Governo delle Provincie Unite, ma al fallimento della rivoluzione fu imprigionato dagli austriaci e costretto all’esilio a Parigi e a Lucca. Nel 1846 ricevette l’amnistia, fu reintegrato alla cattedra universitaria e, insieme a Marco Minghetti, fu nominato membro della Consulta di Stato istituita da Pio IX in rappresentanza di Bologna. L’anno dopo morì improvvisamente a Roma.
Dopo l’acquisto della villa, l’avv. Silvani fece realizzare un salone, accorpando i due salotti situati a nord-est. Il muro portante che divideva i due vani fu sostituito da un arco a sesto ribassato, coperto da una volta a padiglione in arelle e gesso, finemente decorata alla maniera del Giani; uno spazio originale degli ambienti interni della villa. La realizzazione della volta ha celato alla vista i fregi parietali e i soffitti cassettonati seicenteschi, oggi rimasti parzialmente visibili da un piccolo ripostiglio soprastante.
L’abbandono – dal 1945 al 1981
I discendenti dell’avv. Silvani ricoprirono ruoli di prestigio nell’Università e nelle istituzioni cittadine fino all’ultimo discendente Paolo, nato nel 1881 e morto nel 1945.
Quest’ultimo fu consigliere di amministrazione dell’Università, di numerosi enti pubblici e Opere Pie, fu socio della Deputazione di Storia Patria, dell’Accademia di Agricoltura e di istituti culturali.
Tutti i Silvani furono molto legati al palazzo di Villanova, dove trascorrevano i mesi estivi. Solo Paolo destinò la villa a sua dimora permanente e, per lui, fu un duro colpo assistere alla sua parziale distruzione e devastazione dovuta alla guerra. Si narra che questi fatti furono concausa concausa della morte per crepacuore, sopraggiunta nel giugno del 1945.
Nel 1943, un comando militare germanico aveva occupato la villa, ma i bombardamenti alleati, che nel 1944 colpirono duramente e a più riprese la zona, avevano probabilmente come obiettivi principali la vicina polveriera di Marano e l’adiacente scalo ferroviario San Donato.
Non si conosce con precisione quale di questi raid aerei colpì la villa, distruggendo l’ala di ponente, e il bosco a nord, lasciando crateri ancora visibili al momento dell’inizio dei lavori di restauro nei primi anni ‘80 del Novecento.
La villa, così danneggiata e indifesa, divenne oggetto di saccheggio e vandalismo: tutti i rivestimenti in legno, i mobili e i parquet furono divelti e bruciati.
Alla morte del fratello Paolo, la sorella Maria, unica superstite della famiglia, tentò di impedire il degrado della villa. Ricostruì al grezzo la parete lesionata che confinava con il teatro, distrutto dalle bombe, ricollocò gli infissi alle finestre del piano terreno per impedire ulteriori devastazioni.
Così la villa divenne luogo di riparo per famiglie rimaste senza casa e, successivamente, fu frequentata dai giovani di Castenaso per ritrovarsi a ballare dentro la loggia. Non fu più abitata. Solo il colono Duilio, che aveva trascorso la sua vita nella proprietà dei Silvani, ha continuato ad occupare la casa del fattore, nei pochi ambienti non lesionati, come riparo e luogo di riposo nelle giornate dedicate alla coltivazione dei campi circostanti.
Nel 1964 Maria Silvani morì, ponendo fine a una dinastia borghese che per 150 anni aveva vissuto a Bologna, primeggiando per cultura e per impegno civile e civico. Dopo pochi anni, gli eredi Ballarini posero in vendita la villa insieme ai fondi, ma questa rimase invenduta fino al 19 giugno 1981, quando Franco Manaresi l’acquistò, intestando la nuda proprietà ai figli Giovanni, Stefano, Nicolò e Carolina Manaresi.
Il restauro
Nell 1981 la villa si presentava al visitatore in completo e malinconico abbandono: l’intonaco e le grondaie erano cadenti, il cornicione in arelle sventrato, le pareti ricoperte di erbacce, un bosco un tempo curato e di delizia, era stato trasformato dalla crescita dei rovi in un luogo inaccessibile.
L’interno della villa era ancora più desolante e squallido, al centro della loggia vi erano un trattore e altri attrezzi agricoli, i muri erano scrostati dall’umidità di risalita, le cornici e gli stucchi a pezzi; erano totalmente assenti le porte, i telai e le vetrate della loggia. Al primo piano mancavano i vetri e gli scuri erano l’unica barriera che proteggeva l’interno anche se alcuni di questi erano stati lesionati dai picchi e dai ghiri che avevano trasformato alcune stanze in tane invernali dove accumulare di ghiande portate dal giardino. La parete di ponente era ancora al grezzo, l’esistenza di un antico impianto elettrico era rivelata da pezzi di filo cadenti dal soffitto e da antichi isolatori in porcellana ancora inchiodati alle pareti. Il sottotetto era in condizioni ancora peggiori, pareti divisorie in muratura e in cannicciato erano in rovina e riempivano il pavimento di detriti; la struttura del tetto ammalorata tant’è che era in più punti puntellata. L’unico servizio igienico era rappresentato da una latrina a caduta con sottostante pozzo nero posta sotto lo scalone. Il tocco finale di questa angosciante desolazione era dato dal vedere improvvisi movimenti di topi che correvano lungo le cornici dei fregi, da quasi quarant’anni padroni incontrastati della villa.
Solo gli affreschi del piano terra, coperti da ragnatele che come drappi neri li avvolgevano, custodivano colori e immagini che attendevano di essere svelati per far rinascere la storia che la villa custodiva.
Nonostante il degrado, lo squallore e la collabenza del coperto, la villa manifestava una buona stabilità delle strutture, mentre l’adiacente “Casa del fattore”, il corpo di levante, era in completa rovina.
Eseguito il rilievo del fabbricato e ottenuta l’approvazione del progetto di intervento da parte della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Comune di Castenaso, i lavori sono iniziati nella primavera del 1983.
Dopo l’esecuzione di alcuni interventi d’urgenza, i lavori di recupero sono progrediti sistematicamente fino alla conclusione nel maggio del 1987. Alla completa ricostruzione del coperto, eseguita interamente in legname, sono seguiti il consolidamento del solaio del sottotetto e il ripristino della casa del fattore. Le fasi del restauro durato quattro anni, hanno presentato sfide di complessa soluzione nel rispetto continuo e costante dell’anima della villa e della sua lunga storia.
Tra il 2001 e il 2005 fu ricostruita la “Casa del Cocchiere”. Un piccolo edificio destinato a stalla, rimessa delle carrozze e abitazione del cocchiere, posto a est della “Casa del fattore”
Dopo quarant’anni di totale abbandono ha ripreso vita un monumento che riteniamo importante per le opere d’arte che racchiude, le memorie storiche delle famiglie e dei personaggi che ne sono stati proprietari.